Testi liturgici: Ger 33,14-16; I Ts 3,12- 4,2; Lc 21,25-28.34-36
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“Vegliate in ogni momento pregando…”
Cosa vuol dire, che si deve solo pregare? Si tratta di intendere bene. Infatti, subito dopo aggiunge: “Perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”.
Ed allora sorge un’altra domanda: “Cosa dovrà accadere?”.
A prima vista sembra proprio doverci aspettare una cosa molto grave, per cui viene da domandarci: “Di cosa si tratta, come riuscire a sfuggirla?”.
A questo punto, però, attenzione!
Si tratta di rimanere nel giusto equilibrio, perché è molto facile esagerare nell’aspettare chissà quale cataclisma, (a questo livello, purtroppo, ci sono molti profeti di sventura!) ma nello stesso tempo anche nel pensare che, proprio a causa dei nostri peccati e cattivi comportamenti, non ne possa seguire nulla. Ecco perché e giustamente, siccome non pochi si comportano male, si è soliti anche dire: “Di questo passo, dove andremo a finire?”.
La risposta è consequenziale: “Andremo certamente a finir molto male!”.
Ed è vero!
Proprio per questo la Chiesa, in occasione dell’Avvento e dell’inizio del nuovo anno liturgico, ci invita a cominciare bene e a proseguire per tutto l’anno. Questo sarà possibile solo se viviamo in continua vigilanza.
Detto questo, è evidente che l’Avvento non è solo il tempo di preparazione al Natale, in cui celebriamo la prima venuta del Signore, ma anche il poter fare una esperienza di vita in cui sappiamo individuare e accogliere le continue venute di Gesù, quelle di tutti i giorni, ma di cui spesso neppure ce ne accorgiamo.
Infatti, la vita frenetica e l’ansia di cui le nostre giornate sono pervase, non danno affatto la garanzia di avere un atteggiamento vigile e sveglio.
Essere vigilanti significa sviluppare un atteggiamento di fede tale che - in ogni impegno, in ogni progetto, in ogni avvenimento che capita nella vita - il nostro sguardo è sempre rivolto al Signore, pronti a leggervi ed accogliere ogni sua ispirazione, ogni sua manifestazione di volontà. Solo così la nostra vita riesce a svolgersi secondo il suo disegno, può trascorrere lieta e gioiosa, ed essere così ben preparati anche per l’ultimo incontro che avverrà alla fine di questa vita.
Se questo non è messo in pratica, la nostra esistenza diviene un correre senza senso verso il niente; alla fine ci si trova esausti e con la consapevolezza di aver sprecato tempo.
Pertanto “vegliare” significa “stare all’erta”, tenere gli occhi aperti per incontrare il Signore che, comunque, viene continuamente nella nostra vita, tutti i giorni.
Quali i mezzi per incontrarlo e riconoscerlo?
Sono quelli di sempre: è in particolare l’ascolto della Parola di Dio. Essa si manifesta nella vita e negli insegnamenti di Gesù il quale, appunto, è la “la Parola di Dio incarnata”. Non solo ascoltarla, ma pure rifletterla.
Oggi, ad esempio, tra l’altro cosa ci dice?
Prendiamo solo una espressione dalla prima lettura: “Farò germogliare per Davide un germoglio giusto”.
Cosa significa il germoglio?
In natura il germoglio è una realtà piccola e delicata. Basta poco per spezzarlo e farlo morire, basterebbe anche una gelata. Eppure, se rimane vivo e illeso, esso contiene in sé una promessa di vita e di sviluppo che, di lì a poco, se il terreno e l’ambiente sono favorevoli, si manifesterà in tutta la sua vitalità, diventando una grande pianta.
Qual è il germoglio di cui parla Geremia?
Questo germoglio non è altri che Gesù Cristo il quale, se accolto, sviluppa per noi liberazione, gioia e salvezza.
Pertanto il rimanere svegli non è altro che il non perdere contatto con lui. Se siamo qui ogni domenica è anche e soprattutto per questo.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello